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Il presidente del Distretto vivaistico ornamentale Francesco Ferrini lancia l’allarme: i vivaisti non riescono a soddisfare tutte le richieste della clientela, improvvisamente aumentate per il balzo del bisogno di verde generato dalla pandemia. E la domanda di piante resterà alta per almeno 5 anni, anche grazie al Recovery Fund, che obbligherà a cicli produttivi brevi (spese entro il 2026). Ma le scarse coperture arboree delle nostre città (ferme al 15%) rendono indispensabili, per la mitigazione dei cambiamenti climatici, anche programmi di sostituzione di alberi e di forestazione urbana nei prossimi 20/30 anni. Ferrini: «i contratti di coltivazione sono un vantaggio sia per il produttore vivaista, che potrà programmare la produzione con la garanzia di collocazione del prodotto, sia per il committente pubblico e privato, che avrà la certezza di reperire il materiale nelle quantità e della qualità richieste». Senza programmazione, il rischio è l’arrivo di materiale vegetale d’importazione con tutti i problemi di malattie che la globalizzazione ci ha fatto ben conoscere.

 Impensabile dieci anni fa, quando la crisi economica globale costrinse a ridimensionamenti produttivi e alcune aziende vivaistiche del distretto ornamentale pistoiese furono costrette a chiudere. Ma adesso scarseggiano le piante e i vivaisti non riescono a far fronte a tutte le richieste della clientela privata e pubblica, che sono improvvisamente aumentate a seguito del balzo in avanti dell’interesse per la natura e del bisogno di verde generato dalla pandemia. A lanciare l’allarme è il presidente del Distretto vivaistico ornamentale di Pistoia Francesco Ferrini, che qualche giorno fa è intervenuto su questo problema e sulla paradossale situazione in cui si trovano in questo momento i produttori di piante con un articolato editoriale sull’house organ dell’Associazione Vivaisti Italiani, che è il soggetto referente del Distretto. (Vedi allegato)  «Difficile pensare che la vendita di tutta la merce possa essere vista come un fatto negativo per il mercato – scrive Ferrini -. Non lo sarebbe se stessimo parlando di mascherine, magliette, di un qualcosa, insomma, che si può produrre in un tempo che può essere anche solo di pochi secondi o minuti». Ma le cose non sono così semplici per il vivaismo e la produzione di piante da esterno tipiche del distretto pistoiese, dove i cicli produttivi vanno da minimi di 3 anni a periodi molto più lunghi. «La produzione attuale – spiega Ferrini - è probabilmente inferiore, in termini numerici, rispetto a 15 anni fa e poter far fronte alle richieste già adesso e a quelle che si presume ci saranno nei prossimi 5 anni non è e non sarà semplice, perché se i soldi del Recovery Fund dovranno essere spesi entro il 2026 vuol dire che dobbiamo programmare adesso tutti gli impianti per soddisfare le potenziali necessità, se consideriamo un ciclo produttivo breve in grado di fornire piante del calibro 12-14 nel giro di tre anni. Ma i terreni utilizzabili ci sono? Le risorse economiche per partire in assenza di finanziamenti esterni sono disponibili? L’apparato burocratico-amministrativo è in grado di sostenere questa “Rivoluzione verde”?». E «la difficoltà di reperire materiale in Italia – avverte Ferrini - potrebbe portare (e in parte è già successo) a importare materiale da altri Stati, il che, oltre a presentare perplessità per l’introduzione di materiale genetico diverso, pone anche il problema della diffusione di malattie di origine patogena o entomologica, oltre che, come spesso è accaduto, quello dell’importazione di materiale di scarsa qualità morfologica». Allora cosa possiamo fare? Questa, dice il presidente del Distretto di Pistoia, «è un'opportunità sia per i produttori sia per la committenza pubblica e privata di poter siglare contratti a lungo termine per garantire la fornitura dei materiali vegetali necessari per i progetti, nei tempi, nei modi e della qualità prevista. La possibilità di stipulare contratti di coltivazione rappresenta infatti un vantaggio sia per il produttore vivaista, che sarà dunque in grado di programmare la produzione con la garanzia di collocazione del prodotto, sia per il committente pubblico e privato che, in questo modo, avrà la certezza di poter reperire il materiale nelle quantità e della qualità richieste. Tutto ciò rappresenterebbe un notevole impulso al mercato, aumentando l’occupazione e innescando una filiera produttiva in grado di produrre redditività all’imprenditore privato e garanzia di buona riuscita dei progetti al committente, soprattutto pubblico». Restano alcuni interrogativi. Primo, quanto durerà quest’alta domanda di piante? Nessuno può avere certezze, ma dice Ferrini: «personalmente ritengo che la richiesta di piante non sia destinata a esaurirsi presto. Anzi, non sarà solo un fenomeno del 2021 e sicuramente durerà, credo, almeno altri tre-cinque anni». Secondo, che cosa accadrà una volta esauriti i fondi del PNRR? Per Ferrini le prospettive sono potenzialmente rosee, se pensiamo ai benefici e al ritorno economico, in termini di miglioramento dei principali parametri di salute e benessere, che il vivaismo e la filiera del verde possono portare nei centri urbani e al fatto che «la maggior parte delle città italiane hanno una copertura inferiore al 15% (ma spesso molto meno) e le autorità governative locali dovrebbero stabilire obiettivi ambiziosi di aumento della copertura arborea che potrebbero portare a un consistente incremento della densità del verde urbano nel corso di un periodo di programmazione previsto in 20-30 anni». Ciò anche per contrastare il cambiamento climatico e i suoi effetti. È anche in quest’ottica di lungo termine, conclude Ferrini, che «occorre una concertazione sulle politiche di settore, fondamentale per dare sicurezza al settore e garantire alle nostre città di avere un verde di qualità che non può prescindere dall’impianto di materiale di qualità». Ed è per lo stesso motivo che «occorre porre il vivaio al centro di questa concertazione».

Redazione

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