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Secondo l’ultimo report pubblicato dal RIAP (Registro Italiano di ArtroProtesi) sono quasi 40mila le protesi d’anca realizzate nel 2019 (ultimo anno monitorato e pubblicato). Una particolare protesi d’anca è quella “a doppia mobilità”: nonostante sia stata inventata negli anni ’70 in Francia, rappresenta tutt’oggi la principale innovazione nel campo delle protesi d’anca.

Santa Rita Hospital utilizza questa tipologia di protesi non solo nel paziente anziano ma anche nel giovane, per rispondere alla grande richiesta funzionale e restituire la possibilità di una vita attiva e qualitativamente migliore.
“La protesi a doppia mobilità presenta due snodi articolari che consentono un doppio movimento – spiega il dott. Gianni Nucci, responsabile dell’U.O. di Ortopedia e Traumatologia a Santa Rita Hospital, ospedale accreditato con il SSN, di Montecatini Terme –. Questo costituisce un grande vantaggio per il paziente, a partire da una maggiore naturalezza del movimento stesso. Inoltre, la protesi non viene percepita come un elemento estraneo e si riduce notevolmente il rischio di lussazione dell’anca, l’evenienza più funesta e probabile nei casi di impianto di protesi”.
Questa tipologia di protesi è stata inventata pensando ai pazienti con poca massa muscolare intorno all’articolazione. Studi recenti – come quello dell'Hospital For Special Surgery di New York presentato al congresso annuale dell’American Academy of Orthopaedic Surgeons nel 2019 - hanno visto che le sue caratteristiche peculiari la rendono una protesi ottimale non solo per il paziente anziano ma soprattutto per i giovani: oltre alla riduzione della percentuale di lussazione, la protesi a doppia mobilità ha un consumo più tardivo rispetto alle protesi tradizionali in quanto il movimento è smaltito da due articolazioni invece che da una sola; risponde inoltre alla elevata richiesta funzionale del paziente giovane, restituendo una qualità di vita migliore.
Un esempio lampante di come le protesi a doppia mobilità consentano di tornare ad una normalità specialmente in pazienti giovani è il caso di Lorenzo, un uomo operato per protesi monolaterale a soli 38 anni.
A causa di un consumo idiopatico dell’anca (ovvero senza trauma o patologia specifici), dovuto a un conflitto femoro-acetabolare (un contatto anomalo del femore e dell'acetabolo che può essere congenito o derivante da un’anomalia dello sviluppo scheletrico), Lorenzo muoveva questa articolazione nel modo sbagliato portando nel tempo a forti dolori e a problemi di deambulazione. Nel 2017 si era dunque sottoposto ad un intervento per l’impianto di una protesi a doppia mobilità all’anca maggiormente consumata (l’arto dominante si consuma per primo).
“Praticavo saltuariamente ciclismo e giocavo a calcetto, durante e dopo tutte queste attività fisiche avvertivo che il dolore era sempre più accentuato. Quando mi sono sottoposto all’intervento avevo un dolore costante e non riuscivo quasi più a camminare. L’intervento ha dato risultati sbalorditivi – racconta Lorenzo –. Già nei giorni successivi all’operazione ho iniziato la riabilitazione, con esercizi già dal letto dell’ospedale grazie ad un fisioterapista. Questo ha fatto in modo che riuscissi a riprendere a camminare nei tempi previsti. Una volta tornato a casa ho continuato la fisioterapia, mettendo tutto l’impegno necessario, mi sono dedicato con i giusti mezzi e i dovuti tempi e posso dire che è stato un recupero perfetto. Sono tornato a praticare sport, preferendo attività che non gravassero eccessivamente sulle gambe, come gli sport acquatici, ora pratico hydrobike. Posso ritenermi ampiamente soddisfatto e sono sicuro degli ottimi risultati che otterrò anche dall’intervento sull’altra anca, quando sarà necessario”.
“La protesica moderna ci consente interventi con risultati immediatamente visibili al paziente: il giorno prima non cammina dal dolore e il giorno dopo l’intervento sta in piedi con dolore quasi nullo – commenta il dott. Nucci –. Inoltre, adottiamo l’approccio mininvasivo postero superiore, tecnica sviluppata da me che avrò il privilegio di insegnare a tutti gli specializzandi italiani in occasione del congresso nazionale della SIOT (Società Italiana di Ortopedia e Traumatologia) a novembre, che consente, mediante una piccola incisione di 8 cm, di risparmiare le strutture tendinee e muscolari intorno all’articolazione dell’anca”.

La protesi a doppia mobilità: cos’è e come funziona
La protesi a doppia mobilità è formata da quattro componenti, come le protesi tradizionali, ma si differenzia per la presenza di due snodi (tra la testina e l’inserto in plastica su cui si snoda, posizionato all’interno della coppa, ma anche tra la placca metallica e la plastica nella coppa). Si ottengono così due articolazioni mobili, una dentro l’altra, per un movimento che risulta più naturale per il paziente.
“La protesi a doppia mobilità ha l’importante vantaggio di abbattere la percentuale di lussazione dell’anca post intervento protesico – spiega il dott. Nucci –. Questo perché quando si flette, si stende o si torce l’anca non si avrà più una sola articolazione che arriva al suo limite, con il rischio che esca dalla sede, ma un ulteriore snodo che impedisce che si lussi”.
La lussazione è così frequente perché gli elementi della protesi sono incastrati tra loro ma non sono fissati, stanno uno dentro l’altro grazie alla tensione dei tendini e dei muscoli circostanti.

Quando è necessario fare un intervento di protesi d’anca?
Solitamente la problematica che dà origine all’usura dell’articolazione dell’anca è bilaterale. Gli interventi vengono spesso eseguiti in due fasi diverse, procedendo con operazioni monolaterali.
“Questo perché l’intervento chirurgico si fa quando ce n’è effettivo bisogno – spiega il dott. Nucci –. L’anca ha una durata ed anche la protesi ce l’ha. Quando la protesi si consuma - solitamente hanno una durata di circa 20 anni - si deve reintervenire sostituendola con un’altra protesi leggermente più grande della precedente, andando ad ancorarsi ancor più in profondità sull’osso “buono”. Gli interventi di revisione sono tendenzialmente più complessi. Quindi se il paziente è giovane si cerca di prolungare il più a lungo possibile la vita dell’anca nativa, mediante terapie conservative come ad esempio l’iniezione di acido ialuronico ecoguidato”.
Alcuni pazienti hanno un consumo concomitante delle anche ma eseguire un intervento bilaterale d’anca non è l’opzione migliore perché comporta una doppia perdita di sangue, doppia possibilità di problemi intraoperatori, doppio dolore anche se si tratta di una tecnica mininvasiva, doppia riabilitazione. È bene gestire il rischio un’anca per volta.

Redazione

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