Lontano/vicino è il titolo della mostra a cura di Roberto Agnoletti che vede protagonisti Luca Matti e Qiu Yi dal 26 novembre a Pistoia (via Porta al Borgo 18).
La mostra aprirà con il vernissage di sabato 26 novembre alle ore 17 e sarà possibile visitarla fino al 15 dicembre, dal martedì al sabato con orario 10-12/16-19.
Come descrive il curatore della mostra: "Lontananza e vicinanza sono situazioni spaziali determinate dalla distanza fisica, ma nel nostro linguaggio evocano altre giustapposizioni di valenza temporale o emozionale. Ci sentiamo lontani quando percepiamo un'assenza, più o meno temporanea e dolorosa, e all'opposto esser vicini ad una persona significa entrare in sintonia con essa, intellettivamente o emotivamente.
Così ci siamo proposti di presentare insieme due artisti provenienti da esperienze lontane fra loro ma che, conoscendosi, si sono trovati in sintonia sul comune desiderio di ricomporre un equilibrio dell'uomo con la natura che è al contempo scoperta del diverso e convivenza, quindi vicinanza, in una comunità ricca e diversificata.
Luca Matti e Qiu Yi hanno avuto modo di confrontarsi anche in altre occasioni, pertanto esporre insieme costituisce il completamento di un dialogo interpersonale, ma anche interculturale avviato da tempo. Le loro opere si rispecchiano e si confrontano sulle pareti dello spazio espositivo di Artistikamente, evocando due atteggiamenti culturali diversi, attorno ad uno dei temi fondamentali della contemporaneità, e dell'universalità: l'equilibrio dell'uomo nella natura, di cui è parte, ma al contempo altro, dominatore e distruttore.
Luca si è formato nel magma linguistico della Firenze post Radical, la sua formazione giovanile si è nutrita delle ultime esperienze della poesia visiva di Chiari, delle messe in scena dei Magazzini Criminali, della musica dei Litfiba, di quelle grafic novel di autori che si trovarono a confluire in riviste come Frigidaire, da Pazienza a Liberatore, da Mattioli a Tamburini. L'ambiente più creativo degli anni Ottanta, di cui forse traspare anche qualche afflato linguistico nelle prime opere di Luca, ma che ne hanno determinato soprattutto un atteggiamento culturale: il disincanto nei confronti del mito dell'eterno progresso e la consapevole critica ad un sistema consumistico progressivamente sempre più distaccato dalle esigenze vitali reali, sostituite dalle effimere richieste di consumo indotte. L'impronta ecologica dell'operare umano e la sua sostenibilità non non sono tematiche della contemporaneità, oggi assistiamo solo all'emergere massmediatico di una consapevolezza maturata nell'ultimo mezzo secolo, in sostanza ben più storicizzata delle biografie individuali dei nostri due artisti. Solo che negli anni di formazione di Luca sembravano relegate agli ambienti della controcultura studentesca.
Per chi già in quegli anni si concentrava sulle problematiche delle condizioni urbane e sociali delle periferie, sulla rivoluzione digitale con conseguente dismissione di tanta industria manifatturiera, era naturale confrontarsi con l'iconografia della metropoli, dalle sue origini (attraverso il Futurismo e il Razionalismo, da Metropolis a Blade Runner), ai sui esiti futuribili o temibili, da apocalisse postindustriale o postatomica. Se le energie fossili caratterizzano la tecnologia contemporanea i prodotti derivati dal petrolio ne sono l'emblema, ed ecco Luca dipingere direttamente con il bitume e ricreare una natura perduta con pneumatici e camere d'aria dismesse. I copertoni divengono una materia prima delle opere di Luca, emblematici della tecnologia dominante, costosi da riciclare ma duttili al reimpiego per ricostruire una giungla sintetica così come un'esoscheletro da indossare, memore degli eroi del nostro tempo reinventati dalla Marvel. Ecco quelle piccole sculture evocatrici del polimaterismo di Picasso quanto dell'iconografia di Batman. Dal senso di colpa di un'umanità che si è illusa di dominare e sottomettere la natura, scoprendosi tardivamente a distruggerla e ad autodistruggersi, i lavori di Luca Matti acquistano il valore della denuncia ma soprattutto la sacralità di un rituale di espiazione.
Qiu Yi arriva in Italia per studiare l'arte occidentale portandosi dietro il bagaglio della cultura cinese contemporanea. E qui ci serve una digressione. Diversamente che in "Occidente", la cui storia dell'arte ha conosciuto in continuazione forti cambiamenti, mutamenti di stile e di strumenti linguistici, l'arte cinese nel corso dei secoli è caratterizzata da una stupefacente continuità. Quanto la storia dell'arte occidentale può esser scritta attraverso opere, autori e gruppi che hanno prodotto discontinuità, quella orientale, e cinese in particolare, sembra produrre infinite innovazioni nella continuità di tematiche e strumenti. Nella novella del periodo Ming (XIV-XVII secolo) si può ancora riconoscere il suo modello del periodo Tang (VII-X secolo). I dipinti di paesaggi di un pittore Qing (XVII-XX secolo) in fondo sono costruiti in modo simile a quelli dell'epoca della dinastia Song (X-XIII secolo). Una ragione di ciò è il "rispetto per la tradizione" da sempre diffuso in Cina. Obiettivo primario dell'artista non era la creazione del nuovo, bensì la continuità con i modelli degli antichi, che non è percepita in alcun modo come imitazione o plagio. Questa visione si basa in fin dei conti sulla concezione del mondo confuciana, che impone tra l'altro al discepolo il grande rispetto del maestro (Shifu), visione che non fu contraddetta, bensì confermata dal confluire, nei secoli, di altre dottrine religiose e filosofiche. Né la pittura cinese né le poesie dei poeti Tang sarebbero ad esempio immaginabili senza il Taoismo. Dal punto di vista tematico esse trattavano frequentemente del postulato di una vita in armonia con la natura. Armonia che l'uomo può raggiungere comprendendo ed uniformandosi ai ritmi e processi della natura stessa, non dimenticandosi mai di esserne parte. È ciò che accomuna il calligrafismo e tanta pittura storica, le opere originali di celebri calligrafi furono apprezzatissime in Cina in tutti i tempi, stese su rotoli e talvolta appese al muro a guisa di quadri. Certo con la Rivoluzione culturale di Mao anche la Cina ha conosciuto il linguaggio del realismo socialista, ma ciò non ha cancellato l'atteggiamento culturale ad interpretare la vita come flusso continuo. A partire dal 1979 anche nelle arti della Repubblica Popolare si delineò una svolta: alcuni artisti poterono recarsi in Europa a fini di studio cominciarono a realizzarsi anche esposizioni sull'arte occidentale contemporanea, numerosi artisti cinesi hanno ottenuto riconoscimenti internazionali e, ad esempio, nel 2000 furono invitati alla mostra "documenta" di Kassel.
Qiu Yi ammira la nostra storia dell'arte, ha studiato e condiviso i linguaggi visivi della contemporaneità occidentale, realizza opere site specific attingendo dall'iconografia occidentale, ma sempre con quell'atteggiamento, tutto cinese, di sentirsi parte del flusso naturale in continuo divenire. Possiamo cogliere nelle sue chine su carta assonanze con tanta action paintig, ma il suo substrato va ricercato nel calligrafismo tradizionale e nello storico paesaggio a orizzonte continuo, e ciò diventa pienamente apprezzabile nella loro successione in serie ritmiche, anche quando non sfrutta il lungo formato arrotolabile la sequenza tende a creare un flusso, irripetibile, inarrestabile, ove conta più la continuità dei singoli episodi.
Ed in questo fluire, che è quello della natura, si deve contemplare anche il deperimento la caducità. Ecco il senso delle ultime esperienze di Qiu Yi dove calchi di opere storiche, un capitello, un'ornato rinascimentale, un bassorilievo michelangiolesco, realizzati in gelatina organica, vengono presentati dall'artista nel loro lento processo di dissolvenza in presenza di aria o di acqua e, prossimamente, anche per l'azione dei marosi.
A confronto le serie di opere di Luca Matti, anche quando si uniformano tra loro per formato, dimensione e soggetto, creano tappe di una storia, un racconto con cesure e discontinuità decisamente occidentali. Luca utilizza strumenti e materiali dell'età postindustriale, Qiu Yi il tradizionale inchiostro di china con pennelli di setole animali riportandoci a quella che era l'essenza anche della nostra arte occidentale: un'Arte che lavora con i materiali della natura, che ne rispetta le caratteristiche intrinseche così che la venatura, il colore del materiale, collabori con l'intelligenza dell'artista che anima la natura inanimata, o più esattamente che attiva un processo, significante per l'uomo, ma già latente nella natura.
È quell'atteggiamento mentale che ha generato racconti mitologici fondanti della nostra cultura, e rintracciabili fin dalle Metamorfosi di Ovidio, come quello di Pigmalione che anima la statua di avorio o, viceversa, umani che, per dolore o per punizione, si trasformano elementi naturali: Niobe pietrificata e Dafne che si muta in alloro appena afferrata da Apollo. Ma il fare arte è anche metafora di quel processo alchemico che trasmuta dal piombo all'oro, dal buio alla luce ed infine rende duraturo l'effimero, porta ad eternare il contingente. Ma anche il marmo si infrange... la classicità di Fidia si riduce a frammento, le gelatine di Qiu Yi si dissolvono... Irraggiungibile anelito alla perfezione? Niente di tutto ciò! Semplice accettazione del fluire del ciclo della natura entro il quale possiamo solo ricomporre quotidianamente un precario equilibrio che, forse, per un attimo, potrebbe sfiorare la perfezione. L'arte che ci propongono Luca Matti e Qui Yi, partendo da prospettive storicamente diverse, ma convergenti nell'oggetto di osservazione e nell'atteggiamento metodologico, non è finalizzata a produrre solo cose (più o meno esteticamente apprezzabili e concettualmente comunicative), ma bensì racconti e situazioni nelle quali le opere divengono un canovaccio dal quale il fruitore possa attingere per improvvisare la propria storia personale. Di fronte ad un metaverso prossimo venturo, spazio virtuale con impatto reale, le opere di Luca Matti e Qiu Yi invitano ad immergerci nel ciclo della natura per affermare non solo "io sono come sono e come voglio", ma soprattutto "io sono il custode del creato, in equilibrio con esso".
Redazione