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“Mi sembra che oggi uno dei compiti fondamentali dell’architetto debba consistere, tra l’altro, nell’individuare tutte quelle possibili operazioni che siano capaci, per così dire, di sbloccare fino all’interno la fissità, la schematicità, la perentorietà dello spazio urbanistico architettonico attuale; nel quale il cosiddetto utente oggi si viene a trovare nella condizione di dover subire tutto ciò che di predisposto, preordinato, fissato e precostruito gli viene volta a volta somministrato”.

Così, nel 1968, Leonardo Savioli presenta a Casabella i più interessanti risultati del suo corso di architettura degli interni appena concluso all’Università di Firenze, sulla traccia di uno spazio per lo spettacolo ed il divertimento – un Piper – da regalare al capoluogo toscano. Tema che divenne pretesto per l’indagine di nuove soluzioni spaziali, generate dal rapporto tra progetto e fruitori, nell’istanza di un oggetto architettonico privo di inderogabili vincoli, e che si prestò a matrice per la successiva ricerca progettuale dello stesso Savioli.
Nel 1971, questi presenta con Santi una proposta per una struttura urbana nell’ambito del concorso di Cannes, raccontato da Fabrizio Brunetti come “uno studio di notevole interesse, impostato sul principio della coincidenza tra maglia modulare e suolo artificiale intesa come presupposto di una crescita omnidirezionale dell’organismo e di una disposizione libera ed integrata delle diverse funzioni”. Un tessuto vivo, capace di organizzarsi ed autoprogettarsi sull’interazione coi cittadini, in cui leggere il compimento delle risposte al tema della flessibilità urbana che il bando di concorso per il Nuovo Mercato dei Fiori di Pescia richiedeva ai progettisti nel 1970.
Concorso vinto dagli stessi Savioli e Santi con un’opera impostata sulle esperienze didattiche del Piper, le quali, transitando proprio attraverso il progetto del Mercato dei Fiori, articolano una concreta e più matura mentalità progettuale nella struttura proposta a Cannes.
La necessità di una spazialità modulare e flessibile, aperta alle potenzialità del divenire e a sviluppi venturi, viene risolta da Savioli con una grande piazza sospesa a recinto della sala delle contrattazioni, uno spazio monumentale e volumetricamente categorico che viene animato e umanizzato quotidianamente dai profumi delle varietà floreali.
La nerboruta struttura high tech della copertura testimonia l’interesse verso le esperienze di Archigram e Cedric Price che, tra gli altri celebri risultati, hanno condotto al progetto per il Centre Pompidou e che nel Mercato dei Fiori assumono una connotazione quasi ontologica, impostata sull’interazione tra edificio e utenti, sulla spontaneità progettuale dell’oggetto architettonico e sulla sua capacità di dialogare con la città, divenendo un dispositivo urbano flessibile.
A contraltare, la brutalità del basamento in cemento armato denuda quell’anima tettonica, indisciplinata e materica osservata da Zevi nel 1971: “Savioli possiede due anime: quella del fiorentino innamorato della Rinascenza, del calcolo, della composizione precisa ed elegante, dei modi formali capaci di animare un elaborato diagrammatico; e quella opposta, che respinge il bel disegno e sconvolge la geometria degli spazi e volumi.”
Un progetto equilibrato nella sua estrema bipolarità, totale e compiuto nel suo funzionamento al punto da essere nominato “La macchina di Flora” da Adolfo Natalini, non senza una vena d’ironia: “Flora era il motto con cui partecipava al concorso del 1970, dove la dedica, oltre che ai fiori, era per Flora, la moglie di Savioli. Destino dei nomi: Leonardo, innamorato di Flora, le dedica una macchina, lui che non ne ha mai guidata una”.
Una macchina che forse Savioli dedica anche a Pescia e al suo territorio, che deve oggi raccogliere la sfida di rispondere con intelligenza agli usi che la contemporaneità e il lascito avanguardistico inteso a partire dal Piper impongono a tributo.

Testo di Alberto Francini con la collaborazione di Filippo Pozzoli, foto di Alberto Francini
Fonte: www.abitare.it

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