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Intervista a Stefano Tesi, presidente di Aset, a margine di una delle sessioni di “Dig.it”, la manifestazione sul «giornalismo digitale, tra informazione e società» organizzata ieri e oggi a Firenze dall’Associazione Stampa Toscana. Blogger e giornalista «sono due ruoli differenti»: il primo opinioni, il secondo notizie verificate.

«E’ cambiata nello stesso modo degli altri settori ma forse a una velocità e con un’intensità maggiore. E’ cambiata molto perché, come ho detto al convegno che abbiamo tenuto poco fa, il settore enogastronomico è uno di quelli in cui il lettore più sente forte il rapporto diretto fra ciò che viene detto a lui e ciò che poi lui fa. Quindi di fatto l’incidenza della comunicazione nel settore enogastronomico sui consumi del lettore è diretta: dall’informatore al consumatore, si potrebbe dire. E in questo senso è cambiata molto, perché la responsabilità che ha il giornalista nel dare certe informazioni è molto più grande in quanto sa che si traduce non solo in opinione ma in fatti. Chi ti ascolta compra quel vino, va in quel ristorante, mangia quel prodotto».
Questa la risposta di Stefano Tesi, presidente di Aset (Associazione stampa enogastroagroalimentare toscana) - organismo indipendente nato quest’anno di cui fanno parte alcuni giornalisti che si occupano abitualmente di vino, cibo e agricoltura -, alla domanda che dava il titolo alla sessione da lui condotta nella prima giornata di “Dig.it”, la due giorni sul «giornalismo digitale, tra informazione e società» organizzata ieri e oggi a Firenze dall’Associazione Stampa Toscana presieduta da Paolo Ciampi. La sessione era intitolata “Enogastronomia: come è cambiata l’informazione di settore con l’avvento della rete?” e aveva come relatori, oltre a Tesi, Riccardo Gabriele, titolare di “PR comunicare il vino”, Giovanni Pellicci, giornalista direttore de “I grandi vini” e Andrea Gori, sommelier e famoso wine blogger nonché giornalista pubblicista.
Sentito al termine dell’incontro, Stefano Tesi ha risposto anche ad altre due domande di Floraviva.
- Durante l’incontro è stata sottolineata la distinzione fra blogger e giornalista: ecco, sarebbe utile una precisazione su questo punto.
«E’ un argomento molto delicato, che secondo me va spiegato bene, e ti ringrazio di questa domanda. Allora, la differenza qual è? Non è una differenza di tipo classista, razzista, io sono meglio io sono peggio. Sono due ruoli differenti. Il blogger, cioè chi ha un blog, esprime una sua opinione, cosa che è legittima. Un’opinione che può essere seria non seria, competente non competente. Il giornalista ha una professionalità e quindi ha una serie di regole di deontologia a cui deve rispondere per cui non è sufficiente che dia la sua opinione. Il giornalista per dare delle notizie deve averle verificate, deve essere certo delle fonti, deve aver approfondito l’argomento, e quindi ha la responsabilità non solo verso il lettore e verso l’ascoltatore ma anche verso l’ordine di cui è parte di quello che dice. Si tratta quindi di due ruoli affiancati ma molto diversi: il giornalista ha maggiori responsabilità ed è questo che fa la differenza con il blogger».
- Un’osservazione che hai fatto mi è sembrata interessante: a volte le aziende non capiscono che può essere utile un po’ di competenza in meno dal punto di vista tecnico sulla materia trattata e un po’ di competenza in più invece dal punto di vista giornalistico.
«Il punto è proprio questo. Si tende a credere – non solo nel settore enogastronomico, in tutti i settoriche ha più diritto di parlare colui il quale più è tecnicamente preparato. Non è vero. Faccio un esempio. Non è che Prandelli è più bravo di Balotelli oggi, ma Prandelli fa il ct e Balotelli fa il giocatore. Voglio dire che la competenza del fare il giornalista è prevalente rispetto alla competenza che c’è nell’intendersi di vini, nel saper assaggiare un vino, perché io prima devo essere giornalista e poi assaggiatore. Se sono solo assaggiatore ma non capisco cosa significa fare informazione non saprò mai dare al lettore o all’ascoltatore l’informazione di cui ha bisogno».

Lorenzo Sandiford

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